Un anno da Sindaco: i primi dodici mesi della Giunta Marello

Intervista rilasciata a Vincenzo Nicolello e pubblicata su Il Corriere del 21 giugno.

E’ passato un anno dal quel 23 giugno che ha portato Maurizio Marello nella “stanza dei bottoni” albese. Un anno lungo e travagliato che abbiamo ripercorso con un’intervista a 360 gradi.

Sindaco, cosa resterà di questi primi dodici mesi di mandato?

«Intanto tre dati su tutti. Il primo è che abbiamo vinto le elezioni: non credo fosse scontato un anno fa, eppure è successo. Ed è avvenuto sulla scorta di un’esperienza nuova, popolare, nata dai quartieri e tra i cittadini. Un qualcosa di anomalo per la politica di oggi, tutta urla e slogan. Il secondo dato è la trafila dei ricorsi dell’opposizione, con sentenze che hanno fissato un principio e fatto giurisprudenza (nelle ultime amministrative a Lamezia Terme, ndr), ma che ci hanno costretto a lavorare nell’incertezza fino a marzo. Il terzo attiene al metodo di lavoro che abbiamo scelto: ci è stato chiesto di cambiare, portare un po’ di aria nuova nel modo di amministrare, di promuovere partecipazione, confronto e trasparenza. E’ un modo nuovo, che è arrivato nei quartieri e anche nelle commissioni, dove spesso c’è stato accordo con l’opposizione».

Come è stato il rapporto con la minoranza: è cambiato con la bocciatura definitiva del ricorso elettorale?

«Per quanto ci riguarda non è cambiato nulla. Alla minoranza abbiamo offerto grande disponibilità, a partire dall’elezione del presidente del Consiglio, espressione dell’opposizione. Ma questa concessione non è dipesa dall’incertezza dei ricorsi, è un atteggiamento che abbiamo mantenuto anche dopo. In dieci anni di opposizione ho capito quanto sia importante essere aperti e trasparenti. Qui debbo dire che l’opposizione ha mantenuto, secondo me, una posizione sbagliata. Pur legittima, la linea dei ricorsi non è stata compresa dai cittadini e ha pregiudicato un’ulteriore apertura. Dopo la sentenza ho notato un certo cambiamento in Consiglio, con un atteggiamento che su certi temi è diventato più duro e critico. Io ritengo che la minoranza non debba fare sconti sui problemi, ma che non debba comunque mai agire in modo pregiudiziale».

Quali sono i rapporti con gli altri enti locali, tutti schierati sull’altro fronte politico?

«Debbo dire che sin dall’inizio ho avuto ottimi rapporti istituzionali con il senatore Zanoletti, che ci rappresenta a Roma, come anche con il sottosegretario Davico, anche dopo le polemiche sul Giro d’Italia. Abbiamo dialogato benissimo con la Giunta Bresso, ma anche con il nuovo governo regionale ci sono buone prospettive. Il rapporto è ancora da impostare con i nostri rappresentanti a Torino, Cirio e Negro, e proprio con Cirio avremo un incontro il prossimo 8 luglio. Con la Provincia c’è un buon rapporto istituzionale, ma vorrei che Cuneo avesse una posizione diversa sull’autostrada. Mentre sul tema ad Alba il Pdl ha un’idea chiara, mi pare che a Cuneo questo non avvenga e che, anzi, si sia un po’ ambigui. Mi viene da pensare che non ci sia tutta questa volontà di fare questo benedetto lotto 2.5».

Come finirà quindi con l’At-Cn?

«E’ una questione che stiamo valutando anche dal punto di vista legale. Non siamo più in una fase di trattativa: ci sono un appalto, una concessione e una concessionaria che si è fatta carico di un contratto, in forza del quale è obbligata a realizzare il lotto 2.5. Se invece di farlo si eseguono altre opere, come il collegamento di Savigliano o il prolungamento della tangenziale di Bra fino a Marene, ci sono due indizi che provano l’indisponibilità a completare il progetto. Nulla da eccepire sul fatto che Bra colleghi la propria tangenziale all’autostrada, ma la concessionaria deve prima assolvere gli obblighi contrattuali. A questo punto non ci stiamo più a essere presi in giro. Il territorio lo è già stato in passato, per cui adotteremo tutte le misure politiche, ma se necessario anche legali, affinché il contratto sia rispettato».

La manovra finanziaria potrebbe obbligarvi a scegliere un unico ente o consorzio al quale partecipare. Ha già pensato a una possibile scelta?

«Non voglio e non riesco a pensarci. E’ una cosa talmente illogica che metterebbe in difficoltà chiunque. A livello generale l’obbligo di cedere quote entro una determinata data è il presupposto per svenderle. Già nel 2006, giustamente, la finanziaria impose l’abbandono di partecipazioni senza alcun interesse pubblico, tanto più se queste società sono in perdita. Ritengo che sarebbe opportuno abbandonare per esempio la Geac (aeroporto di Levaldigi, ndr), ma dove ci sono partecipazioni che riguardano servizi essenziali come i rifiuti, l’acqua, l’energia elettrica e il riscaldamento non mi spiego per quale ragione dovremmo uscirne. Sarei in grossa difficoltà a fare una scelta tra Egea o Sisi (ciclo idrico, ndr). Non c’è nessuna ragione, nemmeno di risparmio. Se ho quote che valgono, in una società che fa utili, perché uscirne?».

Passiamo alle note dolenti e parliamo di Piano regolatore. Ha annunciato modifiche sostanziali al progetto preliminare della precedente amministrazione. Cosa c’era che non andava?

«Il problema sono alcuni vizi originari e la necessità di alcune previsioni, ad esempio il principio di perequazione, che impone che dove si realizzino edifici residenziali siano previsti anche servizi. E poi c’è il bisogno di dare un’identità a centri periferici e frazioni e quello di evitare che si costruisca in modo selvaggio, senza alcuna indicazione. Il vizio originario del Piano è il suo sovradimensionamento, con la previsione di un consumo significativo del territorio. Occorre prevedere uno sviluppo ventennale, certo, ma tenendo conto delle esigenze demografiche. Alba non cresce di 1.000 abitanti all’anno come negli anni ‘60. L’altro vizio è la necessità di sostenere la riqualificazione degli edifici realizzati negli anni ‘60 -’70, seguendo un po’ la filosofia del piano casa. Questi ragionamenti hanno fatto ritardare ulteriormente l’approvazione, ma bisogna anche dire che sono passati già sei anni da quando si è impostato il lavoro…».

Vox populi dice che il tono della Giunta è un po’ dimesso, depresso, che c’è una tendenza a essere tristi.

«E’ che evitiamo toni enfatici, fa parte della linea che vogliamo tenere. Siamo realisti, sappiamo che ci sono i problemi e che vogliamo affrontarli, ma non vogliamo far apparire bianco quello che è nero. Si tratta di uno stile in controtendenza, direi della responsabilità».

Altra voce parla di una scarsa disponibilità di tempo da parte del sindaco…

«Ciascun sindaco si deve caratterizzare per quello che è. Credo che la diversità sia nel metodo di lavoro, che è di squadra, mentre prima era estremamente accentrato, soprattutto negli ultimi cinque anni. Questo per la città non è stato un fatto positivo, perché una sola persona, in un Comune che ha oltre 240 dipendenti, non può fare tutto in autonomia. Io vi dedico moltissimo tempo. Passo le mie giornate qui nel palazzo, ma anche in città. Tanto per dare un dato, nei mesi iniziali ricevevo tra le 20 e le 25 persone al giorno: un ritmo eccessivo, se poi si vuole combinare qualcosa. Credo che questa critica sia estremamente ingenerosa».

E si dice che poco è cambiato nell’assegnazione degli incarichi.

«Secondo me è cambiato quasi tutto. Abbiamo seguito un criterio di competenze e rinnovamento. Abbiamo nominato persone con connotazione tecniche e meno politiche. Parlo per esempio dell’ingegner Baratella all’Egea, l’ingegner Ranieri nella Str. Credo che ci sia stato un segno di discontinuità notevole, e debbo dire che non è stato facile far comprendere a tutti questa linea».

Dopo un anno di lavoro, si sente più di ringraziare o criticare chi l’ha preceduto?

«Non ho dubbi: dal punto di vista del lavoro fatto e dal punto di vista dell’efficacia del lavoro svolto in alcuni settori, quali quello finanziario, mi sento di ringraziare. Mi sento invece di dire che ci sono state alcune grandi questioni: Piano regolatore, autostrada e Legge Gozzini, per le quali l’eredità è stata pesante. Ci sono stati nodi che non sono stati sciolti. Credo che in fondo per superare certi problemi servano molto tempo, la collaborazione di una squadra e il non avere coinvolgimenti personali e politici».

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