17 marzo: Consiglio comunale in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia

Interventi dei Capigruppo Consiglieri Comunali di maggioranza e della vice presidente del Consiglio durante il Consiglio Comunale in seduta solenne e aperta in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia:

Marta GIOVANNINI – vice presidente del Consiglio

Nel preparare  questo piccolo, breve intervento, avevo pensato inizialmente di citare Cavour che ha fatto l’Italia o Einaudi che ne è stato il Presidente della Repubblica, poi ho pensato che sarebbe stato bello guardare al presente e ricordare questo giorno specialissimo attraverso le parole di un amico, un bravissimo giornalista albese divenuto una delle più importanti firme del “Corriere della sera”: Aldo Cazzullo.

Essendo l’unica donna che oggi interviene ho scelto, fra le tante belle pagine del libro “Viva l’Italia” un passo in cui si parla delle donne nel Risorgimento: perchè anche le donne fecero il Risorgimento ma rimasero per lo più, e come spesso accade, sullo sfondo della storia.

Come ha scritto Nadia Maria Filippini, il Risorgimento  fu prima di tutto “processo di consapevolezza e di identità nazionale, mobilitazione delle coscienze, rinascita morale e civile”; e il ruolo delle donne fu fondamentale nel costruire l’identità nazionale attraverso l’educazione, il cambiamento, dei sentimenti e dei costumi, l’azione sotterranea di ogni giorno che come una goccia cinese cambia il corso delle cose.

Lo Stato e la società nati dal Risorgimento non seppero capire il cambiamento delle italiane. Non compresero la manifestaziione del 21 otttobre 1866, quando nella piazza San Marco che festeggia il ricongiungimento di Venezia all’Italia le donne venete sfilano co il fazzoletto bianco a esprimere “l’amarezza e l’umiliazione” per la loro esclusione “da tutto ciò che si attiene al governo della cosa pubblica”, come scrivono in un messaggio al re. E il re, che ama le donne ma non le vede in politica, non accoglie il “Suffragio delle donne dell’Italia meridionale a Sua Maestà”, che definisce “ingiusta e ingrata la nuova società, la quale nega affatto ogni diritto politico alla parte più viva e più influente dell’umasno consorzio”.

Sono passati 150 anni e le donne  il 2 giugno 1946 hanno votato per la prima volta, ma ancora tanta strada è da farsi per raggiungere la parità in politica.

Ma oggi è un giorno di festa e noi vogliamo essere fiduciose in un futuro migliore per noi e per il nostro Paese che rimane la terra della cultura, dell’arte, della musica, dei tanti svariati sapori e colori che il mondo ci invidia, il Paese in cui ogni straniero spera di venire almeno una volta nella vita mentre a noi è stato dato il grande privilegio di essere in poche ore nella città di Dante o in quella di Goldoni, di sedere in un teatro greco sul mare o nel Colosseo, di camminare nella città di S. Francesco e sentire, dentro, la pace e godere di momenti e istanti di vita che non hanno prezzo.

Per questo ringrazio il mio Paese.

Pierangelo BONARDI – capo gruppo Con Marello per Alba Attiva e Solidale

Debbo dire che non avevo considerato questa ipotesi nell’affrontare la vita pubblica albese. Essere qui oggi ed avere l’onore, perché io tale lo reputo, di commemorare solennemente l’anniversario per i 150 anni dell’Unità d’Italia.

Forse mai come in questo periodo storico si sente il bisogno di parlare di Patria, di Nazione, di Italiani, di Unità. In questo momento non possiamo non portare un pensiero ai nostri fratelli, permettetemi di chiamarli così, giapponesi, colpiti da questa immane tragedia. Guardo a loro con  grande rispetto per la loro dignità e la loro compostezza.  Anche da questo si comprende, secondo me, un popolo e la sua nazione.

Noi italiani abbiamo una lunghissima storia, fatta di cultura, civiltà, di lavoro; è il nostro patrimonio e questo patrimonio dobbiamo curarlo, valorizzarlo, trasmetterlo alla future generazioni.

Io guardo alla mia terra, di Alba, delle Langhe; ho letto grazie agli straordinari racconti del nostro grande scrittore Beppe Fenoglio la vita “grama” nelle nostre campagne e dei nostri contadini. Lui ha narrato un mondo che oggi non c’è più.

Ho visto la trasformazione della nostra terra: da agricola ad industriale. Ho visto i mutamenti all’interno della nostra società. Ho visto il cambiamento delle nostre colline: l’agricoltura e la viticoltura hanno impresso una trasformazione epocale. La valorizzazione del territorio, la nascita del turismo. I mutamenti avvenuti hanno proiettato Alba, la nostra città ribattezzata Capitale delle Langhe, nel mondo, senza falsa modestia. In ogni angolo del globo troverete un prodotto della nostra terra: industriale come i prodotti dolciari della Ferrero, come le piste dell’atletica della Mondo, come gli abiti della Miroglio, come le riviste della Società San Paolo; sulle tavole imbandite troverete il re dei re, il barolo, il barbaresco, i nostri nobili vini ed il tartufo bianco d’Alba. Il nostro territorio concorre a divenire Patrimonio dell’Umanità per la sua unicità, per le colline su cui sono disegnati i filari d’uva. Questo è un aspetto che mi fa dire di essere orgoglioso di appartenere a questo popolo, a questa nazione fin troppo bistrattata ed anche, talvolta, ridicolizzata.

Ma c’è anche un altro aspetto che mi fa gonfiare il petto, che mi fa sentire fiero di essere nato in queste terre. Il valore che esse con i loro eroi hanno trasmesso e permesso a noi oggi di essere qua: la lotta di liberazione, la nascita della repubblica, la costituzione.

Io non sono uno storico per cui non mi addentrerò in argomenti che non conosco ma da una sommaria ricerca ho appreso che lo Statuto Albertino è stata la carta costituzionale del regno di Sardegna, concessa il 4 marzo 1848 dal re Carlo Alberto sotto la pressione degli eventi di quell’anno. Dopo il 1861 è stato adottato dal Regno d’Italia fino al 1948. Possiamo dire che i fondamentali della nostra storia più recente, dei nostri 150 anni affondano le radici nello Statuto Albertino, nel nostro Piemonte.

La storia ci ricorda gli avvenimenti che hanno costellato il vecchio secolo; Alba ha avuto un ruolo di rilievo per il nostro territorio durante gli ultimi anni della II guerra mondiale senza mai dimenticare il suo essere antifascista anche dagli albori. Va ricordato che quando questa sala fu occupata nel 1922, il 2 novembre, dai fascisti, un consiglio comunale si svolse a casa dell’allora sindaco Vico e sino allo scadenza naturale, nel 1925 Alba fu retta da una Amministrazione eletta democraticamente.

Gli anni dell’antifascismo sboccano nella Resistenza e nella guerra Partigiana. Alba liberata dai fascisti si proclama libera Repubblica dal 10 ottobre al 2 novembre 1944. La nostra terra narra di un’altra esperienza in tal senso: la Repubblica dell’Ossola nel nord del Piemonte.  Il senso di libertà spinse le donne e gli uomini di Langa a sacrificarsi per liberare il nostro territorio dall’occupazione nazi-fascista. Alba ha ricevuto la medaglia d’oro al valor militare per i sacrifici delle popolazioni e per l’attività partigiana il 12 ottobre 1949. Tutto ciò si tradusse a livello nazionale nella nostra carta costituzionale.  Credo che tutto ciò sia a merito del nostro territorio che ha contribuito con il pensiero, con il sacrificio all’Unità d’Italia ed alla sua Costituzione.

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ci ricorda che l’unità nazionale nella ricchezza del suo pluralismo e delle sue autonomie è oggi leva insostituibile per far sì che l’Italia assolva il proprio ruolo in un mondo globalizzato.

Il Capo dello Stato richiama la Costituzione repubblicana “che ha legato, in un articolo fondamentale – il quinto – l’unità e l’indissolubilità della Repubblica alla promozione e valorizzazione delle autonomie regionali e locali”.

“Rispetto a 150 anni fa, la coscienza nazionale degli italiani è cresciuta e si è radicata attraverso tante prove, anche drammatiche. In quasi 5 anni da Presidente, dice Giorgio Napolitano, nel corso dei miei viaggi ed incontri in tutto il paese, ho potuto constatare come l’attaccamento all’Italia nella sua unità sia molto più forte – anche tra le giovani generazioni – di quanto certe polemiche possano far pensare”.

Questo è il pensiero del nostro Presidente della Repubblica. Ho voluto riportalo tal quale per evitare sterili polemiche in una giornata che deve essere di festa per tutti gli italiani, anche per coloro che senza la cittadinanza italiana contribuiscono in maniera determinante allo svolgimento della nostra vita corrente.

Concludo con una citazione del ministro della pubblica istruzione: “Siamo uomini i quali pensiamo che la libertà non va desiderata solo per noi, ma per tutti” diceva Michele Coppino alla Camera dei Deputati il 30-IV-1872. Viva l’italia, viva la nostra Costituzione.

Adolfo RICCA – capo gruppo Alba città per vivere

In questa occasione solenne siamo chiamati a riflettere sugli elementi che ci accomunano, sui nostri punti di forza, sui motivi per rivolgere lo sguardo al futuro nonostante la complessità del periodo storico che stiamo vivendo.

Se dobbiamo individuare il fondamento della nostra convivenza democratica, non possiamo che riferirci alla Costituzione, frutto di lunghe lotte antifasciste e di un confronto serrato e nobile tra parti politiche diverse. Il nostro orgoglio consiste nel fatto che ancor oggi tale testo è di grande modernità e fu tra le fonti che ispirarono la Dichiarazione Universale dei Diritti, di un anno successiva e troppo spesso disattesa.

Un altro pilastro dell’Unità  di questo Paese è il suo patrimonio culturale e paesaggistico, non a caso tutelato dalla stessa Costituzione, ma oggi drammaticamente trascurato. Il rispetto per questa ricchezza sarebbe un segno di consapevole maturità, di riconoscenza verso chi ci ha permesso di ereditare tutto ciò, di sensibilità per il bello, che tanti ci invidiano.

Tuttavia l’Italia di oggi non è soltanto uno scrigno di reliquie, anzi, è un Paese in trasformazione, in cui si presentano nuovi problemi e straordinarie opportunità. Fra queste c’è la prospettiva di accogliere numerosi stranieri e futuri cittadini italiani per i quali la nostra bistrattata nazione diviene una speranza, un miraggio, talvolta la salvezza. Il gruppo che io qui rappresento, “ Alba città per vivere”, sogna perciò uno Stato nel quale i cognomi romeni o marocchini non siano più percepiti come corpi estranei: chi del resto negli Stati Uniti riconduce ormai un nome irlandese o polacco al Vecchio Continente? Ma forse questo discorso sarà più attuale, se non superfluo, quando altri festeggeranno i  duecento anni dall’Unità d’Italia, magari essendo ancor più consci di noi della mescolanza di popoli che ha segnato l’Italia fin dai tempi antichi…

In questo senso anche la città di Alba sta dando il suo contributo, con un cammino paziente e silenzioso di integrazione che oso ritenere prezioso per l’unità dell’Italia futura quasi quanto lo furono per l’uguaglianza l’impegno del ministro Coppino, fautore dell’istruzione pubblica obbligatoria, o per la libertà e la democrazia il coraggio di politici come Vico e Bubbio. Venivano inoltre dal Piemonte personaggi della levatura di Luigi Einaudi e Norberto Bobbio.

In conclusione, vorrei tornare al messaggio di fiducia da cui sono partito: che cosa stiamo consegnando ai giovani? Se è vero che alcuni grandi protagonisti del passato ci permisero di raggiungere l’unità o di riconquistare la dignità in seguito a tragiche guerre, oggi desideriamo affermare il valore della pace, in un contesto non solo nazionale, ma europeo, per una giustizia tra i popoli che vada al di là dei confini, per una globalizzazione rispettosa dell’uomo e dell’ambiente.

Ai ragazzi di oggi, dunque, non vogliamo offrire solo precarietà e fragilità, ma qualche progetto di ampio respiro, la speranza di un’Italia  più attenta ai diritti costituzionali e alle regole, poiché un’altra delle vere sfide è il recupero della legalità; per questo salutiamo con gioia l’entusiasmo di quei giovani che non si lasciano travolgere dall’indifferenza e dal disincanto e saranno numerosi a ricordare, fra sabato e lunedì, le tante vittime delle mafie. Anche di qui scaturisce un raggio di luce per l’Italia del presente e del futuro.

Luca Magliano – capo gruppo Impegno per Alba

È un’emozione ed un onore poter prendere la parola in questa occasione solenne. È anche difficile, dopo gli alti interventi che mi hanno preceduto, con particolare riferimento a quello del prof.Montaldo che così efficacemente ha delineato il rapporto tra la nostra città (ed i suoi cittadini) e l’Italia unita.

Oggi, pur tra le catastrofi e le tragedie che affliggono in questi momenti il mondo e a cui va, come  espresso poco fa dal presidente Cavalli, un accorato pensiero, per noi è giorno di festa perché c’è una Nazione intera che deve essere festeggiata.

Devono essere festeggiati i suoi simboli, come la bandiera che stava nei cuori di coloro i quali per essa hanno donato la vita non solo nelle battaglie risorgimentali, ma anche nella difesa dell’Italia già unita e della libertà del suo popolo in tutte le guerre succedutesi e che hanno visto combattere fianco a fianco piemontesi e sardi, lombardi e pugliesi, siciliani e veneti, sul Carso come nelle strade di Milano, sugli Appennini tosco-emiliani come sulle colline di Langa.

Devono essere festeggiate le sue istituzioni, per le quali molti italiani hanno dato tutto sé stessi, talvolta anche a sacrificio della propria vita – le forze dell’ordine, i magistrati,  i militari impegnati nelle missioni all’estero – istituzioni  che costituiscono  il momento in cui l’Italia si esprime ed attraverso cui è rappresentata ed agisce nei rapporti con le altre nazioni e che meritano dunque tutto il rispetto da parte della gente, ma soprattutto da parte di coloro i quali sono chiamati a rappresentarle a qualsiasi livello.

Deve essere festeggiata la sua Costituzione che rappresenta il patto fondamentale tra i cittadini italiani e l’elemento di unione tra gli ideali risorgimentali e quelli repubblicani. In proposito uso le parole che Piero Calamandrei adoperò nel discorso agli studenti di Milano del 1955:

“In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si  sentono delle voci lontane…
E quando io leggo nell’art. 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie… ma questo è Mazzini! questa è la voce di Mazzini!
O quando io leggo nell’art. 8:«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour!
O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo!
O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi!
E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani…” i cui principi, sommessamente aggiungo, non possono e non debbono essere sacrificati per ragioni contingenti e di corto respiro.

Deve  essere festeggiato innanzitutto il suo popolo, che è stato capace nei secoli di ricostruire più volte il proprio Paese e il proprio futuro dalle macerie, che da sempre conosce la dignità del lavoro ed il rispetto per il prossimo, anche quando viene da lontano e parla una lingua diversa, che rivendica i propri diritti, ma che non si sottrae – nella sua gran parte – ai doveri civici.

Il presidente Napolitano proprio ieri ha affermato che “senza unità l’Italia sarebbe stata spazzata dalla storia”. Credo che tutti i popoli senza unità corrano questo rischio, che non deve essere inteso nel senso della supremazia nella storia, ma nel senso per cui senza unità un popolo non è in grado di aver la forza di aiutare chi è in difficoltà, di essere d’esempio per chi è nell’incertezza, di essere speranza per chi è disperato.

Mutuo anche qui l’immagine usata da mons. Vescovo nell’omelia della celebrazione di questa mattina: un popolo senza unità non riesce ad occupare il giusto tassello nell’immenso  mosaico della storia.

Questa festa deve insegnare ed aiutare noi italiani ad essere Nazione, fiera e consapevole della propria storia, dei propri meriti, ma anche cosciente dei propri errori e limiti. Una Nazione consapevole soprattutto dell’evoluzione che essa ha vissuto nei suoi 150 anni di storia, giungendo a fare propri e interiorizzare i grandi principi della modernità,  l’unità, la libertà e la democrazia, conscia che essi sono doni che ci giungono dal passato, ma che si nutrono e vivono di futuro.  Buon compleanno Italia!

Giovanni Battista Panero – capo gruppo  Partito Democratico

 

Il professore e i colleghi consiglieri hanno già detto in modo esauriente, in  riferimento alle questioni legate alle esperienze ed alla storia locale, non mi  soffermerò quindi su questo aspetto, anche per non ripetere, ma tenterò di allargare  il discorso ad alcune problematiche che si sono create in Italia.

Sono passati 150 anni dalla prima seduta del Parlamento Italiano, tenutasi il 17  maggio 1861 a palazzo Carignano, a Torino, quando promulgata una legge con un solo  articolo: “ Il Re Vittorio Emanuele II assume per se e i suoi successori il titolo di Re d’Italia”. Un unico Stato quindi, invece di un’Italia divisa in tanti staterelli.

Oggi , giornata di Festa nazionale, festeggiamo in tutta Italia il 150° anniversario  di quella proclamazione. Riaffermiamo l’unità d’Italia e l’identità nazionale,  espressione delle peculiarità di tutte le Regioni che compongono la nostra Nazione.
Da allora, a cadenza cinquantennale, si festeggia l’avvenimento.

Io ricordo il centenario del 1961. O perlomeno, ho dei ricordi, anche se un po’ vaghi,  considerando il lungo tempo passato. Un ricordo che passa attraverso un album di  figurine, con tutta l’epopea degli eroi del Risorgimento. Un ricordo che passa  attraverso pubblicazioni sul centenario distribuito nelle scuole, insieme ad una  bandierina tricolore. Un ricordo che passa attraverso un mezzo di locomozione che  prima di allora non avevo mai visto: la monorotaia dell’area espositiva di Torino,  nel vasto complesso denominato appunto Italia 61.

Bene ha fatto il Presidente Napoletano, insieme a tanti altri, a volere e sostenere  questa Festa. L’unità nazionale vale bene, secondo me un giorno di non lavoro, un  giorno di Festa, e riconoscere questa Festa ai lavoratori italiani è un segno di  grande educazione civica.

Certo, mi sarebbe piaciuto arrivarci un po’ più uniti, e che tutti avessimo festeggiato fieri di essere italiani, orgogliosi delle belle pagine di storia che  gli italiani hanno saputo scrivere, delle bellezze del nostro paese.
E non già perché italiano sia meglio di francese, di tunisino o di bengalese. Ma perché solo amando profondamente il nostro paese si può pensare più al bene comune che al  proprio interesse. Si possono capire le ragioni, e di questi tempi sarebbe molto  utile capire, di chi abbandona il proprio paese per migrare in terra straniera. Ci si può sentire veramente, cittadini del mondo.

Bene abbiamo fatto qui ad Alba fatto a festeggiare in modo sobrio e semplice con questa  nostra riunione del Consiglio Comunale . Senza retorica. Vorrei però che questa  Festa non fosse solo un guardare indietro, ma fosse rivolta ai giovani di oggi e di  domani.
Questi giovani che sono delusi, perché molti di loro sono senza un futuro, non riuscendo ad ottenere sbocchi professionali.
La mia generazione ha vissuto il problema del lavoro con alcune difficoltà, oggi  però, le difficoltà sono diventate dramma.
Un lavoro per tutti. Questo è il desiderio degli italiani per festeggiare i 150 anni di  storia della nostra Nazione, anche ad Alba, seppur ritenuta città con un rilevante  benessere economico.  Molti giovani ci provano, cercano questo diritto al lavoro.

 

 

Per tutti quelli che tutt’ora non demordono, combattono e sono disposti a tutto.
Per  chi rivendica un diritto e pretende giustizia.
Per chi si  mobilita e non si è rassegna.
E per tutto il mondo del lavoro. Un mondo che unisce e rende pienamente cittadini, dobbiamo lottare affinché ci sia un presente e un futuro migliore.

Concludo questo mio intervento riportando la testimonianza di un giovane ragazzo, che ho letto recentemente su una rivista sindacale:

 

– “Siam pronti alla morte l’Italia Chiamò” dice il nostro Inno nazionale.
Ma chi vuole oggi, non dico morire, ma anche solo sacrificarsi per la patria? E cosa significa patria oggi? Io per primo sorrido di fronte a questo concetto astratto e lontano. E fallace, soprattutto. Ingannatore. Io non ho nessuna voglia di sacrificarmi per la terra dei padri, questa terra che mi ha preso in giro, che continua a prendermi in giro giorno dopo giorno, visto che un lavoro, un lavoro stabile non me lo sa dare, e nemmeno uno stipendio che gratifichi i sacrifici che ho fatto da ragazzo studiando. Tutti i giorni questa patria si burla di me, del mio lavorare per neanche 1.000 euro al mese (se sono fortunato , ed il lavoro riesco ad averlo, cosa che non accade sempre). E già, devo pure evitare di lamentarmi troppo, perché io sono tra i fortunati precari che qualche lavoro qua e là lo beccano, poi comunque con la disoccupazione si campa, precari e non far niente anche se ho 30 anni.
“Siam pronti alla morte l’Italia Chiamò”.
Bisogna essere fessi a morire per la Patria. E io sento invece di morire dentro di me ogni giorno di più, di non crederci ogni giorno di più, ogni volta che ho trovato un lavoro e, dopo tre mesi finisce. Come mi sento io. Onesto e fesso, e solo. Debole, sempre senza soldi, insensibile alle belle parole e alle romanticherie. E poi stanco. Stanco di tutto. Stanco di questa terra dei padri, che così poco ha lasciato ai suoi figli. –
 

 

 

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